Solo il 36% dei CIO è convinto che la sua azienda investa adeguatamente nella modernizzazione dell’infrastruttura IT e il 41% afferma che gli investimenti non bastano, secondo il report globale “Crucial Conversations: How to Achieve CIO-CEO Alignment in the Era of AI [in inglese]” di Netskope. Ma qual è la strategia migliore per convincere il board, o la proprietà, a spendere?
È la domanda a cui i direttori dell’IT cercano risposta ogni giorno, consapevoli che le risorse – finanziarie e umane – non sono mai sufficienti e che la pressione dei vertici è sempre verso il taglio dei costi. In questo contesto, l’investimento va giustificato come beneficio di business, anziché pura spesa tecnologica. Anzi, con tecnologie come l’AI i vantaggi non si quantificano nemmeno più solo con aumenti di fatturato e utili: per esempio, automatizzare un’attività per liberare una persona da compiti manuali significa che quella persona potrà lavorare sui progetti di innovazione. Ma quantificare questo risultato non è banale. Se poi si vuole dimostrare che l’AI, riducendo i task ripetitivi, permette di avere dipendenti più gratificati, le difficoltà aumentano: il Chief Information Officer dovrà trovare KPI capaci di dimostrare, per esempio, la diminuzione del turnover o la maggiore soddisfazione delle persone che diventano advocate all’esterno per la propria azienda, agevolando le sue attività di attrazione dei talenti. La bravura del CIO sta tutta nel mettere un numero a benefici poco “numerici” e illustrarlo in modo credibile al board.
Secondo la stessa indagine di Netskope, i CEO non vogliono CIO impazienti di adottare nuove tecnologie senza valutarne appieno i costi. In particolare per l’AI, gli amministratori delegati desiderano senz’altro implementarla per generare un valore commerciale misurabile, ma sono determinati a evitare spese eccessive e rischi. L’Italia non è tra i mercati studiati da questo report, ma i Chief Information Officer italiani si ritroveranno sicuramente in linea con quanto ne emerge: per i CEO, l’IT resta, almeno in parte, un costo. E CIO e CEO continuano, in molti casi, a non capirsi, perché non parlano la stessa lingua. Infatti, il 26% dei CIO globali afferma che è difficile avere il consenso del CEO su strategie di modernizzazione e trasformazione.
I leader italiani dell’IT hanno le loro strategie vincenti: ecco come ottengono il sì dei loro CEO sugli investimenti in digitalizzazione.
Prima strategia: la praticità
“Io uso esempi concreti e dati”, dichiara Francesco Taurino, fondatore e CIO/CTO di Data Felix (costruttore e gestore di servizi data center in Sud Italia) ed ex CIO di aziende dei servizi e della produzione. “Pensiamo agli investimenti in cybersicurezza o ridondanza. Molte aziende, anche grandi, vedono unicamente i costi, ma non pensano alla potenziale perdita legata al fermo di server e sistemi – e non solo in caso di attacchi informatici. In questi casi, basta mettere sul tavolo dell’AD un semplice calcolo: i soldi che si perdono se l’infrastruttura IT si ferma anche solo per un giorno”.
Taurino stima che, se un’azienda fattura 20 milioni l’anno, lo stop dei sistemi “brucia” 80-100 mila euro al giorno. A ciò si aggiungono eventuali multe per la non conformità, il danno reputazionale e così via. “Questo genere di discorso è molto efficace nel far comprende ai CEO l’importanza degli investimenti in backup, disaster recovery e misure di cyber sicurezza”, sottolinea Taurino.
Conferma Alberto Dalla Francesca, CIO di Omis Group (manifattura di macchinari industriali): per risolvere la difficoltà di coinvolgere il business nei progetti digitali la soluzione è “convertire i dati tecnici in euro”.
“Finché disegni un processo, l’attenzione del business è relativa, ma quando presenti dei numeri che corrispondono a dei vantaggi economici, al risparmio di tempo e così via, l’engagement arriva subito”, sottolinea Dalla Francesca.
Per esempio, per coinvolgere i vertici sulle ragioni del nuovo ERP (il più grande cambiamento tecnologico e organizzativo della storia di Omis), il CIO ha spiegato che la piattaforma avrebbe permesso di diventare “tempestivi e precisi nell’ottenere un dato” e che non avrebbero più dovuto aspettare giorni o dedicare diverse persone a questo compito.
“Si tratta di un messaggio chiaro che il business comprende, perché significa un valore in denaro e in persone che, anziché svolgere compiti manuali, si dedicano a progetti”, evidenzia il manager.
Seconda strategia: il linguaggio del business
Insomma, occorre parlare col linguaggio del CEO e del Finance ed è esattamente questa la strategia di Roberto Zanna, ex CIO di aziende italiane di diverse industry (dalla manifattura alla moda alla GDO) e oggi Fractional Manager. Il CIO deve esprimersi in modo semplice e preciso.
Una ricetta confermata fondamentalmente da tutti i capi dell’IT in Italia: è molto importante non usare il linguaggio tecnico con il board, ma parlare attivamente il linguaggio del business. Gli investimenti derivano dalla capacità di usare quel linguaggio.
“Tutto quello che fa l’IT deve puntare al business, ovvero, nel nostro caso, vendere un conto corrente”, ci ha detto una CIO del banking. “Tutto quello che non serve al business, ma semplicemente soddisfa l’ego del CIO non devo nemmeno andarlo a presentare al board. Gli investimenti arrivano se sono abilitatori dell’attività bancaria”.
È una regola che può valere per tanti altri settori: “L’IT non esiste se non come supporto del business”, precisa la stessa CIO. “Tutto quello che l’IT fa in un’azienda, anche comprare un server o la fibra ottica, deve servire a generare valore, se no il CEO non lo accetterà mai”.
“Bisogna proporre use case legati al valore di business, per esempio la riduzione dei costi o il miglioramento del servizio clienti”, conferma Massimiliano Claps, Research Director, IDC Insights. “E il tutto va corroborato da metriche che interessano al business”.
Terza strategia: i KPI
Metriche è la terza parola chiave in questa carrellata di strategie con cui il CIO dimostra il valore degli investimenti IT. Questo vuol dire, innanzitutto, correlare l’investimento ai vantaggi concreti – diretti e indiretti – per l’organizzazione, come lo snellimento dei processi, l’aumento delle vendite, la maggiore sostenibilità, la riduzione dei processi manuali. Questi vantaggi vanno prospettati in modo realistico e supportati con i KPI.
“Sono particolarmente importanti i KPI legati alla sicurezza”, evidenzia Zanna: “misurazione esatta degli incidenti, tempi di risposta e risoluzione, segnalazione dei breach, remediation fatte e in quali tempi, e così via”.
Questi indicatori danno all’AD il senso della concretezza della minaccia e, quindi, della crucialità della spesa in cybersicurezza.
I CEO sono molto sensibili anche ai KPI legati a flussi e processi: si misura il tempo risparmiato nelle operazioni modernizzate rispetto alle vecchie operazioni, come inviare fatture ai clienti all’estero in modo automatico rispetto alle email con pdf o adottare un portale fornitori in cui interagire con workflow rispetto a scambi di mail o documenti.
“Ovviamente queste sono delle previsioni che il Chief Information Officer può presentare al Chief Executive Officer, ma quando l’azienda è padronale-familiare non è facile convincere l’imprenditore a investire”, ammette Zanna. “C’è tanta resistenza, si tende a obiettare che si è sempre fatto in un certo modo e non si vede il motivo di cambiare”.
Zanna osserva che i CEO delle aziende più strutturate sono più propensi ad ascoltare le indicazioni del CIO, ma – in ogni caso – esigono dati concreti e si aspettano poi di vedere risultati in linea con le previsioni. Il CIO, dunque, dovrà essere molto accurato nei suoi dati e nella presentazione dei KPI a supporto.
“I KPI sono parte della più ampia di governance dei sistemi informativi, che è la spina dorsale dell’IT”, indica Debora Guma, Global CIO di De’ Longhi Group (gruppo internazionale dei piccoli elettrodomestici attivo con i marchi De’Longhi, Kenwood, Braun, Nutribullet e Ariete). Gli indicatori delle prestazioni sono fondamentali, precisa la CIO, “perché i sistemi IT sono la leva della crescita, dell’innovazione e del buon funzionamento dell’azienda e le tecnologie devono servire al business. I KPI misurano quanto ci stiamo riuscendo”.
Guma e il team IT hanno misurato, per esempio, l’esito dell’adozione dell’AI in azienda, dimostrando l’efficacia dell’investimento. De’ Longhi, infatti, ha fornito a tutti i dipendenti il motore AI di Google (Gemini) e ha rilevato, in un anno, un aumento del 20% della produttività – un dato che l’IT ha estratto dalle costanti rilevazioni (svolte tramite survey) dell’utilizzo effettivo di Gemini. Questi indicatori, sicuramente, aiutano ad allineare le esigenze di budget della manager tech con i requisiti del board per gli investimenti.
Quarta strategia: la roadmap IT allineata al business
Mariangela Colasanti, Head of Innovation Officer, BW Hotels, è una manager che non ha difficoltà a ottenere budget per l’IT: riporta direttamente alla CEO Sara Digiesi, che è la prima a credere negli investimenti in innovazione. Questo non significa che il compito del CIO sia finito: occorrono, di nuovo, i dati.
Infatti, con i colleghi del team Digital di BW Hotels (che include il Director of Dev. & Digital, Stefano Lombardi, e il Director of ICT & Information Security, Guido Brucellaria), Colasanti è chiamata a definire dove investire, con quali tempistiche e con quali motivazioni o risultati attesi.
“Vanno stimati i ritorni e alla CEO va fornita una roadmap IT che vada di pari passo con la strategia dell’azienda”, spiega Colasanti. “Questo si fa conoscendo gli obiettivi aziendali e svolgendo interviste ad albergatori. È una co-creazione della strategia con un mix di dati, visione di medio-lungo periodo e collaborazione e sinergia fra reparti”.
Si ritorna alla capacità del Chief Information Officer di parlare la lingua del business. Come afferma Colasanti: “Il CIO deve conoscere le Operation e non restare chiuso nell’IT”.
Che cosa chiedono i CEO ai CIO
I risultati della ricerca di Netskope confermano le esperienze dei leader IT italiani. I CEO chiedono loro di semplificare il gergo tecnico e spiegare le decisioni sul budget con parole che anche i dirigenti meno esperti possono capire facilmente. I CIO, quando pensano o parlano, devono collegare le scelte di spesa alle priorità aziendali, ai principali quadri decisionali e al valore che sarà creato. Per riuscirci devono avere una profonda consapevolezza della strategia organizzativa più ampia e dei calcoli del ROI.
“Il CIO deve essere abile a consigliare il proprio interlocutore, creando una situazione di fiducia ed empatia”, indica Zanna. “Per esempio, potrebbe dire: So che tu preferisci il Capex, ma io noleggerei, spiegando poi i motivi per andare verso l’Opex (o viceversa)”.
Ci sono altri elementi importanti: la credibilità e autorevolezza del CIO e la sua capacità di assumersi le responsabilità.
“In qualità di CIO dispongo di un buon livello di autonomia negli investimenti”, riferisce Giuliano Rorato, Responsabile Sistemi Informatici di ABACO (servizi per gli Enti Locali). “Ogni investimento è sempre orientato a migliorare, proteggere e ottimizzare l’ecosistema informatico aziendale, nonché ad introdurre o implementare nuove soluzioni capaci di aumentare la produttività interna e generare valore aggiunto per gli Enti clienti. Prima di ogni decisione viene condotta un’attenta analisi, verifica e selezione delle soluzioni disponibili; quando l’investimento risulta giustificato da tali valutazioni, la Direzione ne autorizza l’adozione”.
La leva culturale
La più recente ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della School of Management del Politecnico di Milano rivela che, nel nostro Paese, le aree di maggior investimento digitale riguardano ancora troppo i processi di supporto e meno quelli direzionali e di core business. Molte aziende procedono ancora a piccoli passi, adottando strumenti semplici e non sempre integrati tra loro, mentre il potenziale dei dati resta sottovalutato e poco valorizzato. Tutto questo alimenta la visione dell’IT come costo; al contrario, se gli investimenti in digitalizzazione e innovazione sono legati al core business, l’atteggiamento del CEO cambia.
La ricerca evidenzia come gli ostacoli agli investimenti IT non siano solo economici, ma culturali e legati a competenze, visione e change management. Questo rafforza l’idea che un CIO desideroso di convincere il board, o la proprietà, a finanziare l’innovazione non deve semplicemente proporre un progetto tecnico, ma costruire una “cultura digitale”.